Fonte: AURAL CRAVE

E così pare proprio che l’odiata era EDM stia finalmente volgendo al termine. I segnali ormai sono chiari e quest’anno non fanno che accumularsi l’uno sull’altro, come una pila di vecchi fumetti depositati dietro la porta della tua stanza, a ricordarti che la tua adolescenza è da dichiararsi conclusa, almeno a quel che dice la carta d’identità.

Ora iniziano a fioccare anche gli epiloghi e i riepiloghi da parte di magazine che (chi più chi meno) erano parecchio ansiosi di celebrare la morte di una delle onde musicali più controverse di sempre. Giusto questa settimana l’ha fatto anche Pitchfork, che nella questione EDM in realtà gioca il ruolo di autorevole outsider, con un bell’articolo in cui ripercorre le tappe mediatiche principali del genere. Articolo astuto, perché il profilo mediatico è stato in realtà l’aspetto più sostanzioso del filone. Il che è già tutto dire.

Ma facciamo un passo indietro, per chi magari non riesce a seguirci. Cos’è questa famigerata EDM? L’acronimo significa letteralmente Electronic Dance Music, musica dance elettronica, ma è poco indicativo di ciò che rappresenta (visto che la musica dance è elettronica a occhio e croce da 40 anni). EDM in realtà è un termine giornalistico venuto fuori intorno al 2012, ad indicare l’onda dance commerciale che ritornava in questo decennio a popolare classifiche in maniera massiva, stavolta con un trasporto di pubblico tale da trasformare il volto dei festival musicali, creando eventi ormai da dichiararsi generazionali come l’Ultra Music Festival, personaggi come Avicii, Martin Garrix e Zedd, webzine dedicate come EDM.com o yourEDM e canzoni come quelle che vedete distribuite in quest’articolo, che sicuramente avrete già sentito nelle radio dei negozi d’abbigliamento quando accompagnate la vostra ragazza a fare shopping.

Quindi no, non fidatevi della pagina wikipedia dedicata a questo termine, che nel voler farne un discorso enciclopedico copre sotto il cappello EDM tutta la dance dell’era moderna dalla disco anni ’70 ad oggi. No, è scorretto, improprio e non rappresentativo. L’EDM non è la disco, non è la acid house, non è la drum’n’bass e non è l’eurodance. L’EDM è una questione che riguarda noi, questo decennio e i ragazzi che vedete in metro con la felpa colorata e il taglio à la Skrillex, che presto si ritroveranno a dover costruirsi nuovi miti generazionali perché, sapete, il genere è morto, Avicii ha mollato e nemmeno loro si sentono tanto bene. Fidatevi piuttosto degli articoli specializzati come quello di DiscoDemons del 2012 o di Pitchfork stesso. Oppure fidatevi della vostra stessa percezione, anche se foste esterni alla faccenda: riflettete sulle tracce di questo articolo e su come si sono imposte nella programmazione radio in questo decennio. Confrontate la classifica dance 2014 con quella 2009 e riflettete su quanto spesso avete sentito in giro Hey Brother quell’anno rispetto a… Warrior’s Dance dei Prodigy.

L’articolo di Pitchfork però, va detto, commette due piccoli errori e vale la pena sottolinearli. Il primo è coinvolgere nel fenomeno EDM l’ascesa di Skrillex, che in realtà ha rappresentato un percorso parallelo, che sarebbe comunque avvenuto e le cui sorti restano indipendenti dalla caduta del carrozzone EDM. Skrillex e lo Skrillex-sound nascono più come reazione alle vicende dubstep di fine anni ’00 e rappresentano la commercializzazione di un sound differente, anche se simili sono state le dinamiche. Skrillex e la sua OWSLA però si sono evoluti con caparbietà e (sorry for that) resteranno ancora presenti col loro contributo nel panorama dance dei prossimi anni, perché fondamentalmente la loro intenzione non è mai stata sfondare come arieti nelle radio. I loro prodotti sono nomi come Valentino Khan o Kill The Noise e hanno ancora in mente un’idea di dance in fondo underground, che si balla nei club e per cui le radio non sono un target. Non con video come quello uscito pochi giorni fa, con righe di coca ovunque e sound duro che di “pop” non ha nulla.

Il secondo errore Pitchfork lo fa lasciando intendere che il motivo per cui la bolla EDM ora sta esplodendo sia quel suo esser sempre stata completamente orientata allo sballo giovane edonistico e che ciò ne ha rivelato la natura effimera. In realtà no, non c’è niente di sbagliato o pericoloso per la dance nell’orientarsi verso lo sballo dei giovanissimi. Generi come la acid house o la drum’n’bass hanno avuto lo stesso spirito e sono vivi ancora dopo vent’anni. Dove sta la differenza? Nella complessità, nell’inventiva, nella fantasia a cui si presta il genere. Produrre drum’n’bass richiede parecchia abilità tecnica e l’effetto diretto è che le tracce prodotte sono apprezzate su più livelli, sono più fertili all’evoluzione e rendono dunque tutto più longevo. L’EDM invece è un genere-giocattolo. Ha una semplicità strutturale disarmante. Fateci caso: intro, parte vocale, ritornello centrale col riff electro pompato al massimo volume, ripeti due o tre volte, fine. Fare EDM è un gioco da ragazzi, e infatti son venuti fuori i Martin Garrix del caso, diciassettenni che mettono insieme i due o tre elementi necessari per fare EDM come fossero pezzi del lego e tirano fuori il pezzo che alla fine diventa epocale. Non lo diciamo per il piacere di essere dissacranti, ma un pezzo come Animals poteva farlo chiunque. Sul serio.

E semplicità su semplicità la cosa ha dato vita a un intero genere fatto di tracce che, rispetto a quella precedente, non fanno altro che proporre un nuovo riff (il famoso drop di cui si è parlato tanto) a una struttura già battuta fino a sfinire. Questo alla lunga si è tradotto ovviamente in una scena iper-inflazionata e sovraffollata, in cui la longevità di una hit si risolve in meno di un mese e quella che la seguirà praticamente l’hai già sentita. E a questo gioco hanno partecipato tutti, nomi grossi e giovani promesse, con lo stesso atteggiamento business-oriented di un’impresa commerciale che ha trovato la moda del momento e si affretta a spremerla il più possibile prima che la moda si esaurisca. Da questo punto di vista, il vero cattivo dell’era EDM non è Skrillex e non è Martin Garrix. Piuttosto è uno come David Guetta. Uno che ai suoi esordi era stato capace di produzioni di qualità e autorevolezza (Up & Away è diventato l’emblema più plateale di quanto male si possa finire nonostante la qualità delle prime espressioni) e che poi lentamente ha sposato il sound più pop, fino a diventare uno dei tanti meccanismi dell’industria musicale di massa. Anche lui, che in teoria poteva agire da leader d’esperienza, si è dato alle produzioni spesso semplicistiche, fatte di copia e incolla e urgenza espressiva assente. Ascoltate Lovers On The Sun con piglio un minimo critico. Non vi sembra un collage frammentato e mal assortito di strutture già stranote?

E dunque sì, il tempo dell’eccitazione è bell’e finito, il castello EDM sta per crollare e ad essere contenti son più d’uno. Il pubblico ha iniziato a stancarsi, la partecipazione ai festival di genere è già in declino e tutti son già pronti a prenderne il posto. Gli addetti ai lavori stan già notando che l’effetto diretto è un’impennata delle quotazioni dei dj underground che non si erano piegati a quell’onda, e di generi che sapranno rispondere alle naturali esigenze dance del grande pubblico ce ne sono attivi già parecchi: i più promettenti per i prossimi anni sono il revival UK garage post-Disclosure, la nuova deep house e la tropical house di cui si parla sempre più spesso.

Tutti contenti, a quanto pare. Fino alla prossima esplosione. Di solito avviene ogni dieci anni.

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